Il sesso e il nervo cranico zero

 

 

GIOVANNI ROSSI & GIUSEPPE PERRELLA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 15 ottobre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: SAGGIO BREVE/AGGIORNAMENTO]

 

1. Introduzione. Sono trascorsi quindici anni dalla pubblicazione del nostro articolo Il sesso e il nervo sconosciuto[1], che indusse a includere la trattazione del tredicesimo nervo cranico nelle lezioni di anatomia di varie facoltà mediche italiane, ma una breve ricognizione fra studenti di medicina ci ha testimoniato che oggi si è tornati a trascurare l’insegnamento di questa formazione nervosa, descritta per la prima volta nell’uomo oltre un secolo fa.

Nei trattati di zoologia e di neuroanatomia comparata la descrizione appare da molto tempo: nel Pirlot (1969), nel Romer (1977) e nel Kardong (2014) è considerato il primo dei nervi emergenti dall’encefalo.

A nostra conoscenza, nei principali libri di testo di anatomia umana manca ancora la trattazione di questo mezzo di connessione tra molecole provenienti dal mondo esterno e attivazione genitale. È il caso della quarantesima edizione del Gray’s Anatomy (Susan Standring, 2008) e di manuali adottati in facoltà universitarie di molti paesi del mondo, quali il Moore (2013) e il Drake (2015). Anche trattazioni dedicate esclusivamente alla neuroanatomia, come l’Haines (2012), o specificamente ai nervi cranici, quali il Doyon (2004) e il Wilson-Pauwels (2010), considerano solo le dodici paia canoniche. Più di recente, autori come Brodal (2016) e Vanderah (2016), si sono limitati a citare la funzione dell’organo vomeronasale in rapporto ai ferormoni umani.

Abbiamo trovato in Kiernan e Rajakumar (2014) la trattazione di situazione, funzione e ontogenesi del nervus terminalis quale parte del sistema olfattivo; questi autori seguono l’impostazione di Orts-Llorca, che risale al 1985. A questo riguardo, non possiamo trascurare la menzione del volume di Nieuwenhuys (2008) che considera il sistema olfattivo costituito da tre sottosistemi: olfattorio propriamente detto, vomeronasale e terminale.

In passato, una giustificazione all’esclusione da manuali e corsi era l’assenza per questo nervo di una funzione dimostrata, ma, vista la copiosa documentazione sperimentale sul ruolo di questo fascicolo di assoni, non vi sono più scuse da accampare. Qui riproponiamo i contenuti principali dell’articolo del 2007 ma, soprattutto, proseguiamo con un aggiornamento al 2022, che speriamo possa risultare utile e gradito a docenti e discenti.

 

2. La scoperta del nuovo nervo detto nervo cranico zero per non alterare la numerazione canonica. L’impostazione descrittiva dei nervi cranici era già presente nella scuola di Erofilo ed Erasistrato di Alessandria d’Egitto e, al tempo di Galeno (129-210 d.C.), si adottava una sistematica prossima a quella dell’anatomia descrittiva attuale; gli accurati studi di dissezione avviati nel 1500 e i progressi ottenuti nei quattro secoli successivi nella definizione delle diramazioni, dei nuclei di origine e delle funzioni, hanno condotto all’attuale quadro di conoscenze sulle dodici paia di nervi cranici. In altre parole, le nuove acquisizioni hanno arricchito di conoscenze un impianto canonico rimasto sostanzialmente immutato e declinato dalla tradizionale indicazione del nome seguito o sostituito dal numero romano che indica la successione topografica: olfattivo (I), ottico (II), oculomotore (III), trocleare (IV), trigemino (V), abducente (VI), faciale (VII), stato-acustico o vestibolo-cocleare (VIII), glossofaringeo (IX), vago (X), accessorio (XI) e ipoglosso (XII)[2].

La semeiotica neurologica dei nervi cranici, nel suo quotidiano esercizio clinico a fine diagnostico, è basata da secoli su questa classificazione, per questo si comprende l’avversione dei neurologi nel 1919 alla proposta di Ayers[3] di modificare la numerazione e, addirittura, portare a quattordici il numero totale delle paia, aggiungendo anche il nervo settale, che oggi chiamiamo vomeronasale. Ayers sosteneva che il nervo terminale identificato nell’uomo qualche anno prima, in quanto decorre sulla superficie inferiore del lobo frontale medialmente all’olfattivo, seguendo il criterio topografico canonico avrebbe dovuto assumere la denominazione di primo nervo cranico, sfasando tutta la serie, con l’olfattivo che avrebbe avuto l’ordinale dell’ottico, il trigemino quello dell’abducente, fino all’ipoglosso che sarebbe diventato il tredicesimo.

Ma, facciamo un passo indietro, e seguiamo la cronologia della conoscenza anatomica.

La scoperta di questo nervo negli elasmobranchi, una sottoclasse di pesci cartilaginei cui appartengono squali e cetacei come la balena, avvenne nel 1878 ad opera di Gustav Theodor Fritsch, che lo isolò in un pescecane e lo denominò “nervo soprannumerario”[4]; “all’epoca si ipotizzò che fosse una peculiarità di pesci e mammiferi acquatici”[5], anche perché negli studi sul cervello umano veniva invariabilmente asportato con la leptomeninge.

Storicamente, quello del nervo zero non è stato il primo caso di una scoperta anatomica potenzialmente in grado di modificare l’ordine delle dodici paia di nervi emergenti dall’encefalo: il nervo intermedio di Wrisberg aveva già posto questo problema, che però fu risolto non riconoscendogli autonomia[6].

Nel 1895 Pinkus descrisse in dettaglio questo “Neuen Nerv” nel Protopterus[7], guadagnando la denominazione eponima di nervo di Pinkus, che resistette dieci anni, fino al 1905, quando Locy lo studiò nei Selachii ribattezzandolo nervo terminale perché entra nella regione della lamina terminale[8].

“Nei decenni successivi, molti studiosi provarono ad isolarlo nelle specie più varie, col risultato del reperimento in quasi tutti i vertebrati sottoposti a dissezione accurata. Non era ragionevole, dunque, che mancasse nei primati, e perciò si decise di accertarne l’esistenza nella nostra specie, sebbene alcuni scettici vi si opponessero argomentando che se fosse esistito nel cervello umano non sarebbe sfuggito ai tanti valenti anatomisti delle tre grandi scuole europee, ossia la francese, l’italiana e la tedesca. Dopo la prima decade del Novecento[9], gli sforzi furono coronati da successo e, nel 1913, si ebbe la prima descrizione scientificamente ratificata del nostro tredicesimo nervo cranico”[10].

L’individualità anatomica e l’indipendenza nell’uomo di questo nuovo nervo encefalico è nota alla comunità medico-scientifica già nel 1914, come testimoniano le pubblicazioni di Brookover e Johnston.

In particolare, Johnston forniva il metodo agli anatomisti per individuare le fibre nervose e confermarne la presenza negli adulti della nostra specie: aiutandosi con un microscopio a bassa risoluzione, che possiamo accostare agli odierni “microscopi operatori”, localizzava le fibre e successivamente, passando all’osservazione a occhio nudo, ne riconosceva il percorso seguendo la circonvoluzione retta del lobo frontale e poi tenendo conto che più avanti le fibre si sarebbero unite alla stria olfattoria mediale.

Di Ayers si è detto[11] e, per due decenni, non si registrano contributi rilevanti fino agli studi di Pearson (1941) che, descrivendo lo sviluppo, documenta con precisione che la massima parte dei rami della nuova formazione nervosa ha posizione mediale rispetto al fascicolo olfattorio. Larsell compì un’accurata analisi istologica nel 1950 notando che, accanto alla componente sensoriale, il nervo include fibre appartenenti al sistema nervoso autonomo.

 

3. Le conferme all’identificazione nell’uomo non evitano le controversie per il riconoscimento neurologico. Attualmente, con l’aiuto dell’osservazione microscopica, ci appare in posizione rostrale rispetto agli altri nervi cranici, costituito da un plesso microscopico di fasci di fibre amieliniche nello spazio subaracnoideo sulla superficie inferiore del lobo frontale subito sopra il giro retto; si rende più evidente in corrispondenza della lamina cribrosa dell’etmoide, dalla quale si dirige posteriormente verso il trigono olfattorio, il giro olfattorio mediale e la lamina terminale[12].

Il nome da alcuni proposto di “nervo terminale” deriva da questo rapporto con la lamina terminale, che va dal forame interventricolare di Monro al recesso alla base del nervo ottico e contiene l’organo vascolare della lamina terminale implicato nella regolazione osmotica del plasma. Riprendiamo ora la lettura dell’articolo del 2007:

“Superato l’ostacolo dell’identificazione, coloro che credevano nell’utilità di studiare questo fascicolo di assoni, dovettero affrontare il problema del riconoscimento. La maggior parte dei medici anatomisti e dei neurologi, infatti, non accettava l’idea che a questo sottile filo nervoso si potesse attribuire un’identità morfo-funzionale da nervo encefalico, adducendo varie motivazioni e sollevando problemi che si possono riassumere nel modo seguente: i dodici nervi spiegano i cinque sensi speciali e tutta la senso-motricità cranio-facciale, quale sarebbe la funzione del tredicesimo?

Oltre all’assenza di un ruolo fisiologico definito, un altro elemento di resistenza al riconoscimento dell’identità di questa struttura nervosa, era costituito dalla sua posizione. Infatti, la sua inclusione nel novero dei nervi dell’encefalo, nel rispetto del rigoroso criterio topografico universalmente adottato, avrebbe comportato il cambiamento dell’indicazione delle dodici paia, costituito dal numero d’ordine che indica i nervi in perfetta successione rostro-caudale. In altre parole – come si è già detto in precedenza – il nervo terminale si sarebbe dovuto indicare come I paio al posto del nervo olfattivo, il quale avrebbe assunto la denominazione di II paio, con la quale si indica il nervo ottico, e così via[13]. Un’alternativa possibile, per scongiurare questa modifica generatrice di confusione, sarebbe potuta consistere in un radicale cambiamento del criterio di numerazione: una possibilità categoricamente esclusa dai neurologi ma anche dalla maggioranza degli anatomisti.

In anatomia comparata si decise di adottare la definizione internazionale di nerve zero o terminal nerve impiegata in zoologia marina, ma in anatomia umana il nome e l’identità del nervo rimase ancora una questione aperta.

Probabilmente questi problemi hanno giocato un ruolo non secondario nell’indurre molti studiosi ad accettare l’ipotesi che questo nervo ‘scomodo’ non fosse altro che un ramo del nervo olfattivo, pur in assenza di prove effettive e decisive al riguardo.

Il neurobiologo R. Douglas Fields, l’anatomista Leo Demski e il veterinario Sam Ridgway ebbero l’occasione di accertare l’esistenza di una funzione olfattiva del nervo terminale studiando una balena pilota, morta per cause naturali[14].

Le balene, come i delfini, presentano sulla sommità del capo uno sfiatatoio dal quale emettono vapori condensati con quel caratteristico getto che le rende immediatamente riconoscibili. I biologi marini hanno ricostruito l’evoluzione della balena da mammiferi acquatici in grado di respirare mediante narici facciali, alle quali era strettamente connessa l’organizzazione rinencefalica ed olfattiva tipica dei mammiferi terrestri. Nel corso di milioni di anni, le cavità aeree di balene e delfini sono andate incontro ad un progressivo spostamento verso l’alto, decisamente più vantaggioso per lo sfiato nell’aria, e ad una progressiva perdita del senso dell’olfatto, accompagnata dalla scomparsa del nervo olfattivo.

Fields e colleghi, dunque, ritennero lo studio della balena un test molto significativo, perché se il nuovo nervo cranico fosse stato solo un ramo del nervo olfattivo, non sarebbe dovuto esistere nella balena.

La cauta ed accurata asportazione della membrana leptomeningea da parte di Demski rivelò due formazioni sottili e bianche che, dal cervello anteriore, si dirigevano verso l’area dello sfiatatoio[15].

La presenza del nervo terminale nella balena consentiva di escludere una sua funzione olfattiva e una sua dipendenza anatomica dal nervo dell’odorato e, soprattutto, portava ad una conclusione tanto semplice quanto significativa: qualunque sia il suo ruolo fisiologico, deve essere più importante dell’olfatto per un cetaceo e tanto rilevante da essere conservato dalla selezione naturale nei vertebrati filogeneticamente più vari e distanti.

Tali considerazioni convergevano con quelle di altri studiosi e conducevano alla pista della fisiologia della riproduzione. L’associazione fra attività sessuale e funzione dell’olfatto, così come il grande sviluppo del rinencefalo in molti mammiferi, si può semplicemente spiegare con la priorità temporale che ha avuto lo sviluppo di questo senso nel corso della filogenesi[16]. Il processo su cui si basa l’olfatto, ossia rilevare molecole dell’ambiente esterno associando loro una risposta (associazione di un valore che, nell’evoluzione umana, diventerà attribuzione di un significato), costituisce il meccanismo di modalità sensoriale filogeneticamente più antico, che ha un antecedente addirittura nei batteri. Nei primi animali sessuati, l’attività automatica di saggio e vaglio di molecole esterne era ben presente, e si è sviluppata al servizio delle due principali spinte selettive: sopravvivenza e riproduzione.

Nel 1987, Celeste Wirsig resecò il nervo terminale in criceti maschi e rilevò che gli animali presentavano la stessa efficienza di quelli di controllo nel trovare, mediante la percezione dell’odore, un biscotto nascosto; la loro capacità di accoppiamento, però, risultava notevolmente compromessa. Risultati accostabili a quelli di Wirsig si erano ottenuti nei pesci e, in particolare, si cita spesso l’esperimento di Northcutt e Demski nel pesce rosso: inviando una leggera scarica elettrica al nervo zero di un maschio, senza stimolare il nervo olfattivo, si aveva l’istantaneo rilascio di sperma.

Il collegamento con l’attività sessuale appariva evidente, ma rimaneva da stabilire il nesso biologico.

Le risposte della ricerca non si sono fatte attendere, e sono giunte dall’anatomia e dalla biochimica.

Come il nervo olfattivo, il nervo zero presenta terminazioni nelle cavità nasali, ma le sue fibre afferenti si dirigono verso il setto e l’area preottica, dove formano sinapsi con i neuroni dei nuclei settali mediali e laterali, e con le cellule nervose dei tre nuclei preottici: periventricolare, mediale e laterale. Queste regioni cerebrali, nei mammiferi, sono state messe in rapporto con eventi cruciali della fisiologia riproduttiva, quali l’attrazione e la ricerca del partner, la motivazione sessuale e l’innesco dell’assetto copulatorio. Infatti, i neuroni di queste aree, oltre ad intervenire nella sete e nella fame quando si presentano come bisogno urgente, controllano il rilascio di ormoni sessuali (in particolare alte quote di GnRH). I nuclei del setto sono collegati mediante innervazione reciproca (bidirezionale o rientrante) con l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, e il loro danno sperimentale causa alterazioni nel comportamento sessuale ed altri squilibri funzionali che si esprimono soprattutto con reazioni aggressive e disturbi della regolazione neurovegetativa dell’assunzione di cibo e acqua. Un ultimo dato anatomico interessante, ma che non ha ancora trovato una spiegazione se non ipotetica, è costituito dalle connessioni del nervo terminale con la retina.

I ferormoni, composti di dimensioni maggiori di quelli che conferiscono profumo alle essenze odorose, sono noti per l’azione di innesco di risposte emozionali e sessuali[17]. Non è superfluo precisare, anche perché in molte trattazioni divulgative sono assimilati a stimoli odorosi, che vari tipi di ferormoni non hanno alcun odore e possono esercitare il loro effetto di attrazione sessuale senza interessare la corteccia cerebrale. Traslando questo dato alla realtà umana, si può osservare che la loro azione mediata dal nervo terminale, a differenza di quanto accade per ogni olezzo, lezzo o fragranza che superi la soglia fisiologica, non raggiunge la coscienza e si può rendere responsabile di quelle condizioni in cui si prova attrazione fisica per qualcuno, indipendentemente dai suoi requisiti estetici e dalle proprie preferenze.

È importante rilevare che, negli animali, lo studio delle vie nervose attivate dai ferormoni ha condotto da tempo al riconoscimento di una struttura specializzata, indipendente dalle formazioni recettoriali olfattive, detta organo vomeronasale; questa formazione possiede un suo piccolo bulbo, accessorio del bulbo olfattivo, e si collega con l’amigdala ed altri nuclei che mediano risposte sessuali. Nei roditori, la stimolazione dell’organo vomeronasale mediante ferormoni, determina la scarica di un flusso di ormoni sessuali nel torrente circolatorio, ma l’azione non si limita ad effetti di breve termine, perché è in grado di modulare la frequenza dell’estro, del comportamento riproduttivo e dell’ovulazione.

Alcuni ricercatori hanno dimostrato un’attività funzionale nell’organo vomeronasale umano, ma non vi sono prove di un suo effettivo ruolo fisiologico nella mediazione della risposta ai ferormoni, perciò la maggior parte degli studiosi continua a considerarlo una struttura vestigiale nella nostra specie, e a rivolgere la sua attenzione alle connessioni del nervo terminale.

A settembre del 2006, Diane Richmond presentava ai soci di BM&L la scoperta, da parte del Premio Nobel Linda B. Buck e del suo collaboratore Stephen Liberles, di una nuova classe di recettori (TAAR, da trace amino-associated receptor) presenti su cellule diverse da quelle dell’olfatto ed in grado di legare ferormoni[18]. La Buck ha rilevato che la nostra specie possiede i geni per almeno sei tipi di TAAR identificati nel topo.

Le connessioni anatomiche e la mediazione della segnalazione dei ferormoni, dovrebbero essere sufficienti per tratteggiare un profilo funzionale del nervo terminale e giustificare nuove ricerche, ma il quadro è ulteriormente definito da nuovi dati provenienti dall’embriologia.

L’abbozzo del nostro nervo compare in un’epoca precoce dello sviluppo[19] ed ha un ruolo rilevante nell’embriogenesi neuroendocrina: tutti i neuroni del proencefalo che produrranno GnRH usano la traccia del nervo zero fetale come direttrice di migrazione per trovare la sede di destinazione cerebrale. Se i neuroblasti non possono seguire tale via, si avrà nell’adulto la sindrome di Kallmann caratterizzata da deficit dell’odorato e impossibilità di sviluppo sessuale oltre la pubertà.

Gli studi fin qui condotti ci offrono, ormai, chiare evidenze che ci consentono di affermare che il nervo terminale è parte di quell’insieme di strutture cerebrali preposte al controllo neuroendocrino della riproduzione e, in particolare, sembra contribuirvi creando un adattamento fondato sull’attualità dei contatti e dei rapporti con individui dell’altro sesso.

Concludiamo questa breve trattazione con un affascinante interrogativo. Il nervo cranico zero non è solo una struttura di ricezione, ma invia segnali diretti all’esterno del cervello: quale sarà il loro significato?”[20]

 

4. Il nuovo nervo oggi: ruolo fisiologico esercitato dal nervo cranico zero da solo o in cooperazione. Fin qui, quanto si conosceva fino al 2007. Nei quindici anni trascorsi, gli studi sono continuati e, dopo aver confermato le nozioni che abbiamo appena esposto in sintesi, hanno acquisito elementi che accrescono le ragioni per l’inclusione del nervo cranico zero nei maggiori trattati di anatomia e fisiologia ad uso degli studenti delle facoltà mediche e degli specializzandi in neurologia.

È opportuno precisare che, sebbene si leggano ancora i nomi proposti in passato, talvolta usati semplicemente come sinonimi, quali nervo di Pinkus, tratto olfatto-commissurale, nervo terminale, “nerve nulla” e XIII paio di nervi cranici, la denominazione di nervo cranico zero (“CN 0”, da cranial nerve zero), attribuita con tutti i crismi dell’ufficialità nel 1998 dal Federative Committee on Anatomical Terminology of the International Federation of Associations of Anatomists, è stata unanimemente accettata.

In alcune trattazioni ancora si legge come un dato di certezza la vecchia ed erronea ipotesi del ruolo esclusivo nell’embriogenesi del nervo cranico zero che, nella nostra specie, andrebbe incontro ad involuzione e scomparsa, così da essere assente nell’adulto[21]. La sua documentatissima presenza in età adulta, non solo non è più in discussione da decenni, ma ha costituito il punto di partenza per le più interessanti ricerche sulla sua fisiologia.

Nonostante i rapporti anatomici con le fibre del nervo olfattivo e del nervo vomeronasale, al nervo cranico zero si è riconosciuta un’identità fisiologica indipendente da queste due formazioni nervose.

Un elemento distintivo, che ha affascinato i ricercatori fin dalla sua scoperta e che lega indissolubilmente la funzione di questo nervo alla fisiologia riproduttiva, è l’immunoreattività, nella nostra specie e in molte altre, degli assoni del nervo al gonadotropin-releasing hormone (GnRH), ossia al decapeptide ipotalamico che determina il rilascio di FSH ed LH da parte dell’adenoipofisi per la regolazione funzionale dell’apparato genitale[22].

Le cellule neuroendocrine che producono e rilasciano il GnRH, come le fibre del nervo cranico zero, nell’embrione si differenziano dal placode olfattivo col contributo della cresta neurale[23], anche se vari studi hanno provato che i neuroni GnRH possono avere anche altre origini embriologiche. I neuroni GnRH dell’ipotalamo si differenziano e si sviluppano fuori dal diencefalo, nel proencefalo, seguendo una rotta migratoria che veicola le fibre centrali del nostro nervo zero con elementi del nervo olfattivo e dell’organo vomeronasale[24]. Se è deficitario il processo embriologico di migrazione, o è disturbato da mutazioni genetiche, si hanno problemi all’apparato riproduttivo e, in alcuni casi, anosmia[25]. È importante sottolineare che, anche se sono stati identificati alcuni fattori modulanti la migrazione delle cellule nervose rilascianti GnRH, i meccanismi esatti di tutto il processo migratorio sono ancora sconosciuti.

Il ruolo degli assoni del nervo cranico zero nella migrazione dei neuroni ipotalamici che controllano le gonadotropine potenzia lo sviluppo dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi nell’uomo e in altre specie. Ma più di recente è stato evidenziato un ruolo nell’adulto, particolarmente interessante per le sue conseguenze comportamentali: la componente GnRH del nervo zero sembra esercitare un controllo neuromodulatorio di livello superiore sull’epitelio olfattivo, condizionandone la neurofisiologia in modo tale da rendere i ferormoni più prontamente rilevabili[26]. In altri termini, la componente gonadotropinica del nervo, quando iperstimolata, può favorire un assetto della mucosa olfattiva più efficiente per la recezione ferormonica.

Questo vuol dire – se questa interpretazione verrà confermata – che ad esempio, in contesti sociali di notevole vicinanza tra persone, come nelle circostanze tipiche della vita giovanile, il nervo zero può determinare nella mucosa nasale uno switch funzionale dalla modalità con prevalenza dell’odorato, a quella con prevalenza della recezione dei ferormoni che, non raggiungendo la coscienza come invece accade per i profumi, possono determinare spinte comportamentali inconsapevoli verso persone del sesso opposto rilascianti copiosi messaggi chimici nell’aria.

Il ruolo modulatorio del nostro nervo, non più sconosciuto come quindici anni fa ma ancora molto trascurato, pone la questione del rapporto con la rete neuronica ipotalamica della kisspeptina.

È opportuno precisare che questo argomento è tanto vasto da non consentire brevi sintesi esaustive e, dunque, considereremo solo l’aspetto più saliente e facilmente riassumibile.

La kisspeptina, neuropeptide codificato da KISS1 – originariamente identificato come gene soppressore di metastasi, poi studiato soprattutto in rapporto alla funzione riproduttiva e al comportamento sessuale – è una molecola che esercita la sua funzione regolatrice del GnRH e della placentazione[27] grazie al legame col recettore KissR, inizialmente considerato un recettore orfano accoppiato a proteine G (G-protein-coupled receptor-54). La rete neuronica ipotalamica della kisspeptina è implicata nella regolazione endocrinologica centrale dello sviluppo sessuale e delle funzioni connesse con l’accoppiamento, sostanzialmente mediante l’induzione della secrezione ipotalamica di GnRH, con la conseguente attività di FSH e LH sui bersagli periferici che accrescono la sintesi e il rilascio di testosterone, estradiolo e altri steroidi sessuali importanti per il comportamento legato alla ricerca del partner, al corteggiamento e alla copula. Le evidenze sperimentali mostrano che il nervo cranico zero può innescare risposte ormonali sessuali da solo o in cooperazione con altri circuiti cerebrali, come la rete della kisspeptina[28].

Una rassegna degli ultimi quattordici anni di ricerche sulla kisspeptina ha evidenziato il suo ruolo cruciale quale regolatore dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi in rapporto a reti mediatrici dell’eccitazione sessuale, del tono dell’umore, dell’ansia, della paura, e ha riconosciuto alla segnalazione della kisspeptina extra-ipotalamica il conferimento di qualità positive agli aspetti sessuali dell’esperienza elaborati dal cervello, verosimilmente quale interprete molecolare della  spinta evolutiva verso lo sviluppo della specie[29].

La distribuzione tripartita nella mucosa nasale delle terminazioni del nervo olfattivo, del nervo zero e del nervo vomeronasale potrebbe indicare tre specializzazioni nella recezione di molecole volatili: la prima legata alla discriminazione dei valori biologici positivi o negativi associati alla percezione di molecole odorose, le altre due alla modulazione del comportamento sessuale indotto da ferormoni. Mancano tuttavia elementi di certezza per distinguere nella nostra specie il ruolo del sistema dell’organo vomeronasale da quello del nervo cranico zero[30].

È opportuno sottolineare che, anche se una branca specializzata della ricerca indaga gli odori quali messaggi sessuali di richiamo all’accoppiamento, non si può escludere la possibilità che i composti volatili odorosi percepiti grazie alla mediazione del I paio di nervi cranici e delle vie olfattive, siano associati a segnalatori ferormonici inodori agenti sui recettori del nervo cranico zero e del contingente nervoso vomeronasale.

A questo riguardo, proponiamo gli esiti di uno studio pubblicato quest’anno in cui si è sottoposta a verifica la possibilità che l’attrazione generata nell’uomo dal profumo naturale del corpo della donna sia rivelatrice della fase ovulatoria del ciclo mestruale.

Mei Mei, James Rooney e colleghi hanno preso le mosse dalla nozione che gli stimoli odorosi associati ai cambiamenti degli ormoni ovarici indicano la fase ovulatoria delle femmine in molte specie animali. Studi precedenti sulla nostra specie avevano evidenziato che l’odore del corpo delle donne è più gradito agli uomini nei giorni un cui il concepimento è possibile, ma non avevano chiarito se i cambiamenti del potere attrattivo dell’odore fossero in rapporto con le variazioni ormonali.

I risultati delle osservazioni sperimentali condotte su 46 donne hanno evidenziato che i campioni di odore raccolti in prossimità dell’ovulazione erano stimati mediamente più attraenti di quelli raccolti nella stessa donna in giorni lontani dall’ovulazione. Le analisi di rilevamento del segnale hanno però mostrato che la discriminazione dell’intervallo fertile sulla base dell’odore delle donne falliva nella maggior parte dei casi. Lo studio suggerisce che la gradevolezza dell’odore del corpo della donna non è nella nostra specie un segnale affidabile di fertilità, ma costituisce solo uno stimolo generico di attrazione riproduttiva più efficace durante l’ovulazione[31].

Questo risultato è in linea con quanto emerso da un grande numero di studi condotti negli ultimi decenni sui rapporti nella nostra specie tra stimoli olfattivi e sessualità in maschi e femmine: pur conservando alcuni aspetti del ruolo preminente nelle specie filogeneticamente meno evolute, nella nostra specie tali messaggi non hanno ruoli specifici o decisivi.

Si comprende, dunque, perché molti ricercatori considerino l’indagine sui ferormoni sessuali in grado di attivare le terminazioni del nervo cranico zero importante anche per cercare di comprendere la struttura delle differenze tra mammiferi inferiori e primati massimamente evoluti, nel tipo e nel ruolo dei messaggi chimici tra sessi.

Anche se la ricerca sui ferormoni umani ha avuto inizio negli anni Settanta, i ligandi bioattivi non sono ancora stati identificati e, quindi, si procede analizzando gli effetti di molecole candidate presenti negli odori corporei. Le miscele molecolari rilasciate dal corpo e coscientemente rilevate in base alla componente odorosa percepita dall’olfatto esercitano una gamma di effetti ferormonici sugli organismi recipienti, quali: 1) innesco di risposte comportamentali innate; 2) modulazione di livelli endocrini; 3) segnalazione di informazioni sociali; 4) influenza sul tono dell’umore; 5) influenza sull’atteggiamento cognitivo.

La presenza e l’importanza dei ferormoni in queste miscele molecolari è confermata da recenti studi mediante neuroimmagini, che mostrano come tali messaggi corporei evochino risposte neurali specifiche e distinte da quelle evocate da odori non sociali[32].

Le due molecole più studiate come ferormoni sessuali umani sono l’androstadienone (androsta-4,16-dien-3-one), composto di segnalazione maschile, e l’estratetraenolo (estra-1,3,5(10), 16-tetraen-3-olo), rilasciato dal corpo femminile.

Alle verifiche sperimentali i due messaggeri volatili presentano un perfetto dimorfismo di effetti sessuali umani, evidenti come influenza sulla percezione, sulla qualità soggettiva dell’umore e oggettiva dell’atteggiamento psicologico, oltre che, naturalmente, sull’eccitazione sessuale fisiologica. È interessante notare la specificità dei pattern di attività ipotalamica indotti dalle due molecole in rapporto al sesso del ricevente, al suo orientamento sessuale e alla contingenza fisiologica del momento[33].

La modulazione neuroendocrina di questi segnali sembra essere complessa e, con ogni probabilità, il ruolo del nervo zero è parte di una fisiologia articolata in più componenti interagenti fra loro e sottoposte ad un’elaborazione che esprima, di volta in volta e di circostanza in circostanza, la sintesi biologicamente più adatta ed efficace. Mancando certezze sui ligandi bioattivi, non si può ancora sottoporre a diretta verifica sperimentale l’interazione molecolare tra ferormoni e terminazioni del nervo cranico zero. Intanto, circa la modulazione neuroendocrina dei segnali ferormonici, è stato di recente studiato il ruolo di ossitocina e vasopressina, la cui influenza sui comportamenti sociali e sessuali si è rivelata stabile nel corso dell’evoluzione.

Kepu Chen e colleghi hanno verificato l’intervento dei due neuropeptidi sull’elaborazione non cosciente dei ferormoni già menzionati, androstadienone ed estratetraenolo, definiti dagli autori dello studio “chemosegnali di mascolinità e femminilità”. Dalle 1.056 sessioni di prova cui sono stati sottoposti i 216 volontari è emerso che l’atosiban[34], un antagonista competitivo dei recettori di ossitocina e vasopressina somministrato per via nasale, era in grado di bloccare sia il segnale di mascolinità che quello di femminilità.

Dei due peptidi, solo l’ossitocina si è rivelata in grado di modulare la decodifica del segnale prodotto dall’androstadienone e dall’estratetraenolo, in modo dose-dipendente, non monotonico e adatto al profitto sociale del ricevente[35].

 

5. Considerazioni conclusive. La tesi, inizialmente sostenuta da Fields, Demski, Northcutt, Ridgway, Wirsig e non tanti altri ricercatori, di un ruolo funzionale anche nella specie umana strettamente connesso con la sessualità e la riproduzione per una struttura così altamente conservata nella filogenesi come il nervo cranico zero, oggi non è più messa in discussione.

La funzione indipendente da quella del nervo olfattivo e distinta da quella del nervo vomeronasale, così come la possibilità che in particolari condizioni la stimolazione del nervo cranico zero determini uno switch dalla modalità prevalentemente olfattiva della mucosa nasale a quella prevalentemente ferormonica, costituiscono elementi decisivi perché medici, neurologi e neuroscienziati ne conoscano l’esistenza e ne approfondiscano il ruolo.

Rimane di estrema importanza la prosecuzione della ricerca sui recettori dei ferormoni umani per la comprensione dei meccanismi molecolari della stimolazione attivatrice del nervo, ma i primi risultati sui rapporti con la rete ipotalamica della kisspeptina sono incoraggianti: le informazioni veicolate dal nervo cranico zero da sole o in cooperazione con quelle elaborate da questa rete hanno sicuramente un impatto neuroendocrino non trascurabile sulla regolazione gonadica[36].

Il prosieguo degli studi chiarirà anche il rapporto della risposta ai ferormoni del nervo cranico zero con la regolazione ferormonica dell’ossitocina che, come è stato dimostrato nello studio più sopra riportato, è specifica e dose-dipendente.

Dunque, gli studi sulla fisiologia di questo nervo non sono più indagini generiche volte a stabilire l’esistenza di requisiti per il riconoscimento di individualità di una formazione anatomica, ma sono lavori sperimentali con obiettivi specifici in programmi e progetti di ricerca in corso da lungo tempo e in ampia interconnessione fra loro.

L’atteggiamento di coloro che resistono all’inclusione del nervo cranico zero fra le formazioni dell’anatomia descrittiva umana è anacronistico e antiscientifico: quando un gruppo di ricerca di biochimica o biologia molecolare scopre una nuova molecola, quanto tempo passa per la sua inclusione in banche-dati e manuali? Solo il tempo che gli altri ricercatori ripetano l’identificazione e confermino la scoperta. Ad esempio, quando Eric Kandel ha parlato per la prima volta della scoperta da parte del suo collaboratore Steve Siegelbaum del canale ionico del K+ che reagisce alla serotonina, la trattazione del “canale S” era già presente in tutte le nuove edizioni dei manuali di neurobiologia molecolare[37].

Fa ridere solo l’idea che possano esistere dei “signori della ricerca” che decidano di escludere dai libri di testo una molecola perché il suo outfit non li convince. E, proseguendo nel paragone tra anatomia e discipline sperimentali di livello molecolare, sarebbe risultato insostenibile anche il vecchio pretesto della mancanza di una funzione definita per il nervo cranico zero; basti solo pensare ai recettori orfani e a tutte le proteine dal ruolo funzionale non ancora individuato.

La misura di quanto sia antiscientifico l’atteggiamento di chiusura verso questa formazione nervosa si può rendere evidente attingendo a criteri del pensiero aristotelico[38], che distingue tra enunciati interpretativi ed enunciati indicativi: l’enunciato relativo ad un’argomentazione volta a stabilire un’interpretazione, si offre come proposizione al giudizio di fondatezza e persuasività, mentre l’enunciato scientifico propone un fatto, ed è il fatto che va giudicato. Il fatto è che il nervo cranico zero esiste. In altri termini, l’arbitrio di scelta riguarda le opinioni interpretative non i fatti della scienza: si può non condividere un’opinione e per questo trascurarla, ma non è consentito ignorare la fattualità materiale dell’esistenza di qualcosa.

Concludendo, speriamo che questo breve saggio, soprattutto per gli studi che menziona, possa dare un piccolo contributo alla sensibilizzazione degli autori dei testi di neuroanatomia e neurofisiologia e di coloro che hanno diretta responsabilità nella scelta degli argomenti dei programmi didattici, perché riteniamo che la conoscenza estesa a tutti i professionisti delle neuroscienze possa creare una cultura in grado di favorire e sostenere la ricerca sul nervo cranico zero che, ne siamo certi, nel suo procedere fornirà contributi più generali al sapere fisiologico, oltre a far luce su meccanismi e processi di un ruolo neurofunzionale appena delineato.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi & Giuseppe Perrella

BM&L-15 ottobre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 31-03-07 Il sesso e il nervo sconosciuto.

[2] Tradizionalmente si fa risalire alla sistematica di Sömmering del 1778 l’adozione universale della numerazione romana delle dodici paia di nervi cranici.

[3] Ayers aveva personalmente condotto studi sullo scimpanzé e su altre specie.

[4] Gustav Theodor Fritsch, Untersuchungen uber den feineren Bau des Fischgehirns, Gutmann, Berlino 1878.

[5] Note e Notizie 31-03-07 Il sesso e il nervo sconosciuto.

[6] Da alcuni il nervo intermedio di Wrisberg, posto tra il faciale e lo stato-acustico in continuità morfo-funzionale con questo, è considerato il XIV nervo cranico: identificato nel 1563 e denominato nel 1777, non ha mostrato un’autonomia funzionale che ne giustificasse il riconoscimento di formazione nervosa indipendente (Alfieri A., et al. History of the nervus intermedius of Wrisberg. Ann Anat. 192: 139-144, 2010). In passato è stato descritto come nervo N una formazione costituita da fibre amieliniche in parte associate al primo paio di nervi cranici, decorrenti dalla stria olfattoria alla crista galli fino alla lamina cribrosa dell’etmoide, ma in realtà si tratta di una parte del nervo di cui ci occupiamo in questo saggio.

[7] Genere di pesci africani provvisti di branchie e polmoni, costretti a respirare aria per aver perso le prime due branchie.

[8] Cfr. Angel Peña-Melian et. al., Cranial Pair 0: The Nervus Terminalis. The Anatomical Record 302 (3): 394-404, 2019.

[9] Alcuni riportano un’identificazione nel cervello umano avvenuta già nel 1905 (Peña-Melian A., et al. Cranial pair 0: the nervus terminalis. The Anatomical Record. (Hoboken) 302 (3): 394-404, 2019), ma non è di questo avviso Douglas Fields (cfr. R. Douglas Fields, Sex and the secret nerve. Scientific American MIND 18 (1): 20-27, 2007). In realtà, l’identificazione di De Vries avvenuta nel 1905 (citata da Larsell nel 1950) riguardava gli embrioni umani.

[10] James Sonne e colleghi riportano la data del 1914 (Sonne J., et al. Neuroanatomy, Cranial Nerve 0 (Terminal Nerve) StatPearls Publishing LLC, 2022).

[11] Nel 1992 (Shaw) fu rilanciata la sua proposta di denominare “I nervo cranico” il nervo zero, ma senza successo.

[12] Fuller G. N. & Burger P. C., Nervus terminalis (cranial nerve zero) in the adult human. Clinical Neuropathology 9 (6): 279-283, 1990.

[13] Teoricamente si sarebbe potuta concepire una soluzione sulla falsariga dell’VIII paio dei nervi cranici: per nervo stato-acustico si intendono due nervi distinti con differenti recettori, gangli, nuclei, vie nervose e funzioni; allo stesso modo si sarebbero potuti ascrivere entrambi i nervi al primo paio, che avrebbe assunto la denominazione di nervo olfattivo-terminale.

[14] Cfr. Leo S. Demski, Terminal Nerve in Enciclopedia of NeuroscienceThird Edition. Edited by George Adelman & Barry H. Smith. Elsevier 2004.

[15] Cfr. R. Douglas Fields, Sex and the secret nerve. Scientific American MIND 18 (1): 20-27, 2007.

[16] Cfr. G. Perrella et al., Cenni sulla filogenesi sensoriale in rapporto all’organizzazione funzionale del sistema nervoso centrale, p. 3, in “Seminari del Cognitive Science Club 1990-1992”.

[17] I ferormoni sono molecole biologiche prodotte da organismi animali e rilasciate nell’ambiente esterno con funzione di segnale per individui della stessa specie. Si distinguono ferormoni traccianti, che consentono agli animali di essere seguiti; ferormoni di allarme, che inducono uno stato di allerta negli animali che li captano; ferormoni di segnalazione, che generano l’assetto funzionale dell’accoppiamento o dell’aggressione; ferormoni innescanti, che producono cambiamenti fisiologici a lungo termine (Tristram D. Wyatt, 2003). Il Ganglio di Grueneberg risponde, nel topo, specificamente a ferormoni di allarme (Note e Notizie 11-10-08 Il Ganglio di Grueneberg rileva il segnale di allarme).

[18] Note e Notizie 30-09-06 Olfatto: scoperta una nuova classe di chemosensori. In questa nota si fa riferimento anche ad un altro dato assolutamente straordinario: peptidi del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) sono riconosciuti da neuroni olfattivi e, negli animali, influenzano decisioni sociali e relative all’accoppiamento (Note e Notizie 08-04-06 Il fiuto per il partner richiede geni immuni). Si può dire che, in un certo senso, le scelte “a naso” hanno trovato un loro fondamento biologico.

[19] In embrione e feto, con la colorazione di Bielcowsky, in sezione coronale le fibre del nervo zero emergenti dalla mucosa olfattoria si distinguono facilmente da quelle del nervo olfattivo che appaiono molto più chiare.

[20] Note e Notizie 31-03-07 Il sesso e il nervo sconosciuto.

[21] Accade che molti studenti delle facoltà mediche, non trovando nei manuali la trattazione di questo nervo, cerchino informazioni su siti di facile accesso, e così consultino su Wikipedia la voce “nervo terminale” che, nonostante il dichiarato aggiornamento a quest’anno, si basa invece su una fonte del 2004 e cita alcuni riferimenti bibliografici tratti da questa stessa fonte che riportava l’ipotesi erronea, e risalente a molti anni prima, dell’assenza del nervo nell’adulto.

[22] Cfr. Pineda A. G., et al., in Handbook of Clinical Neurology – Cranial nerve 13 (Ch 9), pp. 135-144, Elsevier, Amsterdam 2019; Kim K. H., et al., Gonadotropin-releasing hormone immunoreactivity in the adult and fetal human olfactory system. Brain Research 826: 220-229, 1999.

[23] Whitlock K. E., Development of the nervus terminalis: origin and migration. Microscopic Research and Technology 65: 2-12, 2004 (Si veda anche: Schwanzel-Fukuda M. & Pfaff D. W., Origin of luteinizing hormone-releasing hormone neurons. Nature 338: 161-164, 1989).

[24] Wilfredo Lopez-Ojeda & Robin A. Hurley, Cranial Nerve Zero (CN 0): Multiple Names and Often Discounted yet Clinically Significant. The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences – Epub ahead of print doi: 10.1176/appi.neuropsych.22010021, 2022.

[25] Wilfredo Lopez-Ojeda & Robin A. Hurley, art. cit.  

[26] Peña-Melian A., et al. Cranial pair 0: the nervus terminalis. The Anatomical Record 302 (3): 394-404, 2019.

[27] Jovanna Tsoutsouki et al., Kisspeptin in the Prediction of Pregnancy Complications. Front Endocrinol. (Lausanne) – AOP – doi: 10.3389/fendo.2022.942664.eCollection, Jul 19, 2022.

[28] Sonne J., et al., Neuroanatomy, cranial nerve 0, in StatPearls. StatPearls Publishing, Treasure Island, Florida 2021.

[29] Alexander N. Comninos et al. Emerging Roles of Kisspeptin in Sexual and Emotional Brain Processing. Neuroendocrinology 106 (2): 195-202, 2018.

[30] Cfr. Wilfredo Lopez-Ojeda & Robin A. Hurley, art. cit.

[31] Mei M., et al. Does scent attractiveness reveal women’s ovulatory timing? Evidence from signal detection analyses and endocrine predictors of odour attractiveness. Proceedings in Biological Sciences 289 (1970): 20220026, 2022.

[32] Yuting Ye et al. Pheromone effects on the human hypothalamus in relation to sexual orientation and gender. Handbook of Clinical Neurology 182: 293-306, 2021.

[33] Yuting Ye et al., art. cit.

[34] L’atosiban, come farmaco-medicamento, è indicato nel trattamento preventivo della nascita prematura, in quanto riesce a ritardare gli eventi promossi dall’ossitocina.

[35] Kepu Chen et al. Oxytocin modulates human chemosensory decoding of sex in a dose-dependent manner. Elife – AOP doi: 10.7554/eLife.59376, 2021.

[36] Wilfredo Lopez-Ojeda & Robin A. Hurley, art. cit.

[37] Studiando con Eric Kandel i meccanismi molecolari della memoria in Aplysia, Steve Siegelbaum scoprì che uno dei bersagli dell’AMP-ciclico e della proteinchinasi A è un canale del potassio reagente alla 5-HT: ufficialmente lo denominarono “canale S” da “serotonina”, ma Kandel ha rivelato che la “S” stava per le iniziali del suo scopritore (Cfr. Eric R. Kandel, Alla ricerca della memoria – la storia di una nuova scienza della mente, p. 214, “Le Scienze” su licenza Codice Edizioni, Torino 2008).

[38] In Heidegger si trova un’interessante discussione sugli enunciati nel discorso, prendendo le mosse dal De Interpretatione di Aristotele (Cfr. Martin Heidegger, Logica. Il problema della verità, pp. 86-98, Mursia, Milano 1986). L’enunciato, considerato quale atto rivelatore è apophansis – proposizione – nel senso che “fa vedere” un ente, apo, partendo da esso stesso. L’enunciato scientifico è apofantico nella misura in cui indica un oggetto di esperienza empirica, lo “fa vedere”.